Onorevoli Colleghi! - Sento il dovere di porre all'attenzione della Camera dei deputati la problematica della riorganizzazione del Corpo di polizia penitenziaria, in analogia a quanto è già stato fatto nelle precedenti legislature per tutti gli altri Corpi di polizia.
      Per meglio illustrare la ragione delle innovazioni della presente proposta di legge ritengo necessario riassumere i momenti salienti che hanno caratterizzato la storia di questo Corpo di polizia dal dopoguerra ad oggi.
      Il Corpo degli agenti di custodia fu militarizzato con decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508, e, all'epoca, venne articolato nei ruoli degli agenti e appuntati, dei sottufficiali e ufficiali.
      È necessario giungere al 1963 per vedere approvata una legge mirante a disciplinare lo stato giuridico degli appartenenti al Corpo degli agenti di custodia. Anche allora, però, nulla venne fatto per regolamentare le attività e i compiti degli ufficiali che, contrastati dai direttori penitenziari, non riuscirono mai ad esercitare le funzioni proprie del ruolo.
      A metà degli anni settanta il problema della riorganizzazione del Corpo degli agenti di custodia cominciò a porsi all'attenzione del legislatore poiché, dopo l'approvazione della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354), si ravvisarono l'urgenza e la necessità di adeguare alle mutate esigenze operative anche l'ordinamento del personale. D'altronde, le continue rivolte che interessarono in quegli anni il mondo penitenziario dall'interno degli istituti, a causa della presenza di migliaia di detenuti appartenenti ad organizzazioni criminali e terroristiche, fecero sì che si pose all'attenzione del legislatore anche la problematica riguardante l'ordinamento del

 

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personale che, a vario titolo, prestava servizio negli istituti penitenziari; numerosi furono i progetti di legge presentati in Parlamento per modificare gli assetti organizzativi dell'epoca.
      Fu necessario tuttavia attendere altri dieci anni per arrivare alla legge di riforma (legge 15 dicembre 1990, n. 395), che smilitarizzò il Corpo degli agenti di custodia istituendo il nuovo Corpo di polizia penitenziaria e affidando agli appartenenti al Corpo stesso nuovi compiti, in linea con le legittime aspettative degli agenti di custodia. La riforma fu caratterizzata dall'assunzione, da parte della polizia penitenziaria, dei servizi di traduzione e di piantonamento dei detenuti e degli internati ricoverati nei luoghi esterni di cura, nonché dall'assicurazione della partecipazione degli appartenenti al Corpo alle attività di osservazione e di trattamento dei detenuti.
      La riforma servì anche ad altre categorie, come quella dei direttori, che ebbero finalmente la possibilità di accedere a ruoli dirigenziali nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria centrale e periferica, fino ad allora estremamente limitata nelle qualifiche e nelle funzioni. La riforma del Corpo, tuttavia, risultò monca, poiché non furono previsti i ruoli direttivi e dirigenziali.
      Alle richieste dei pochi ufficiali in servizio permanente effettivo del Corpo degli agenti di custodia si rispose con la previsione di promozioni a ruolo aperto, con la possibilità di transito in altri Corpi e con i pensionamenti anticipati, per evitare le loro proteste per il mancato inquadramento nei corrispondenti ruoli della polizia penitenziaria.
      Le differenti opzioni previste tra la Polizia di Stato e la polizia penitenziaria per quanto riguarda l'inquadramento degli ex ufficiali sono da ricondurre al loro numero estremamente limitato nel Corpo degli agenti di custodia (66 unità) rispetto alle diverse centinaia che prestavano servizio nella pubblica sicurezza. All'atto dell'approvazione della citata legge di riforma n. 395 del 1990 furono poi determinanti le ostilità, interne alla categoria e fra categorie, che impedirono al legislatore di completare il lavoro di ammodernamento.
      Negli anni successivi al 1990 si iniziò a comprendere la necessità di completare il quadro organizzativo del Corpo di polizia penitenziaria e, nel 2000, fu approvato il decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146, che istituì i ruoli direttivi e dirigenziali.
      Analogamente a quanto è accaduto nella Polizia di Stato, nell'ambito del ruolo direttivo furono previsti un ruolo ordinario e un ruolo direttivo speciale, destinato agli ispettori della polizia penitenziaria. A differenza di quanto è stato realizzato nella Polizia di Stato, però, nella polizia penitenziaria sono stati banditi prima i concorsi per il ruolo direttivo speciale e solo successivamente si è pensato di bandire il concorso per il ruolo direttivo ordinario, invertendo, di fatto, anche il principio di specialità.
      Terminato questo breve excursus storico, prima di riassumere i contenuti della presente proposta di legge, sembra opportuno ricordare il discorso del Ministro della giustizia, senatore Clemente Mastella, che, in occasione della festa del Corpo di polizia penitenziaria, ha ribadito la necessità e l'urgenza di una riforma del Corpo, indicando i contenuti di una linea programmatica perfettamente omogenea con i princìpi che hanno indotto a presentare questa proposta di legge.
      Si è inoltre al corrente del fatto che il discorso del Ministro è stato accolto con grande entusiasmo dal personale della polizia penitenziaria che, attraverso le proprie organizzazioni sindacali, ha manifestato il proprio assenso a un riordino del Corpo che non sia solo di facciata, ma anche di sostanza. A riprova di quanto esposto è sufficiente collegarsi ai siti internet delle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria per comprendere le attuali aspettative degli appartenenti al Corpo.
      La presente proposta di legge prevede, all'articolo 2, l'istituzione della figura del dirigente generale, Comandante del Corpo, in linea con quanto già accade per tutti gli altri Corpi di polizia.
      La singolarità della polizia penitenziaria - forse caso unico nei Paesi occidentali
 

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- è quella di avere un Comandante che non appartiene al Corpo, né tanto meno all'amministrazione penitenziaria, ma proviene, addirittura, dalle fila dei magistrati. Si ritiene che la formulazione proposta dall'articolo citato sia aderente con le attuali linee guida del legislatore, che ha previsto, per i Corpi di polizia ad ordinamento civile, di affidare le funzioni di Capo del Corpo a dirigenti provenienti dalla stessa organizzazione. Si ricorda, al proposito, che il Capo della Polizia di Stato proviene dai ruoli dei dirigenti della Polizia di Stato, il Comandante del Corpo forestale dello Stato è un dirigente generale della forestale e il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri è un ufficiale generale dei carabinieri.
      Si ritiene che l'istituzione della Direzione generale del Corpo, prevista dall'articolo 1, sia la naturale e logica soluzione per ovviare a tutta una serie di problematiche attuali, riferibili alle frammentate competenze in materia di polizia penitenziaria, divise fra le varie direzioni generali del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia.
      Le recenti riorganizzazioni del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che hanno previsto l'istituzione di diverse Direzioni generali, hanno ulteriormente dilatato i tempi occorrenti per la definizione delle fasi decisionali, provocando proprio nel settore del Corpo ulteriori sfasamento e disorganizzazione. La Direzione generale del Corpo serve a concentrare in un unico organismo i settori funzionali all'assolvimento dei compiti istituzionali e consente l'individuazione certa delle responsabilità dirigenziali, senza possibilità di errore.
      La presente proposta di legge prosegue con norme che consentono di allineare gli ordinamenti dei ruoli del personale a quelli della Polizia di Stato.
      Nell'articolo 5 vengono elencati i compiti istituzionali del Corpo: oltre a quelli già previsti dalla legislazione precedente - e in linea con quanto enunciato dal Ministro della giustizia Mastella - si prevedono il controllo dei detenuti in esecuzione penale esterna e il presidio delle strutture giudiziarie che, se espletati in tutto il Paese, potrebbero consentire il recupero di centinaia di carabinieri e di poliziotti da destinare alle attività di contrasto alla criminalità.
      L'articolo 6 elenca i princìpi e criteri direttivi nel rispetto dei quali deve essere esercitata la delega al Governo. Si tratta di un elenco dettagliato per evitare che, così come è accaduto in passato, il potere di delega venga utilizzato dalle alte burocrazie ministeriali per cambiare tutto al fine di non cambiare niente.
      Nelle disposizioni transitorie dell'articolo 7, in attesa che i funzionari del ruolo ordinario maturino l'anzianità prevista per la dirigenza, si prevede il recupero di quelle poche unità di ufficiali del ruolo ad esaurimento che ricevono retribuzioni da dirigenti e da dirigenti superiori ma che, di fatto, sono impossibilitati a svolgere le funzioni connesse al grado e previste dalla legge, per la solita, assurda, ostilità delle attuali burocrazie ministeriali.
      Si prevede, infine, che il grado iniziale della dirigenza, in misura ridotta ed una tantum, possa essere raggiunto da quei pochissimi funzionari del ruolo direttivo speciale che, dopo aver militato e sofferto nel Corpo per più di trent'anni e dopo aver conseguito un titolo di laurea, possono, negli ultimi anni della carriera, offrire un utile contributo alla riorganizzazione del medesimo Corpo.
 

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